PRIMA REGIONALE

IL LAVORO DI VIVERE

di Hanoch Levin

traduzione dall’ebraico e adattamento di
Andrée Ruth Shammah e Claudia Della Seta

con Carlo Cecchi

e con Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto

regia, scene e costumi di Andrée Ruth Shammah

musiche Michele Tadini

con la collaborazione per l’allestimento scenico di Gianmaurizio Fercioni
per le luci Gigi Saccomandi
per i costumi Simona Dondoni

produzione
Teatro Franco Parenti / MARCHE TEATRO

Andrée Shammah, con la complicità di Carlo Cecchi, uno degli ultimi grandi maestri del teatro italiano, qui protagonista insieme a Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto, confeziona con la consueta eleganza e raffinatezza, la regia de Il lavoro di vivere di Hanoch Levin, il più importante autore e drammaturgo israeliano, scomparso prematuramente nel 1999, all’età di 56 anni. Il teatro di Levin è irriverente: la poesia si nasconde dentro le situazioni più imbarazzanti, i suoi testi sono una commistione di spiritualità nobile e cruda realtà; dalla critica alla cultura borghese ai contrasti tra carne e spirito, “arte e culo”, perché il meschino sogna di stare sotto il riflesso della luce della felicità altrui. Così avviene anche per Il lavoro di vivere, una storia d’amore fra due persone di mezza età, in cui l’amore appare a barlumi folgoranti, in mezzo a un mare di insulti, parole durissime e rimpianti. Lo spettatore ride di gusto, senza accorgersi che sta ridendo di se stesso.

“La regia della Shammah, ambienta giustamente questo piccolo inferno mentale nell’intimità di una camera da letto, col pubblico raccolto tutt’intorno a quel metaforico giaciglio sfatto. Da alcuni punti della sala si può vedere solo attraverso delle veneziane aperte, per accentuare nello spettatore l’impressione di spiare nei recessi oscuri di quelle anime in pena. Lo spettacolo si avvale in special modo del carisma, dell’alto magistero interpretativo di Carlo Cecchi.”
Renato Palazzi – Il Sole 24 ore
“Il rito ripetitivo della coppia che si dilania è aperto a tutte le interpretazioni: quelle psicoanalitica alla Svevo, quella esistenziale alla Pinter, se il teatro ha ancora il potere di spiegare e far capire, la più interessante sembra quella politica. Per questa lettura sembra propendere la lucida regia di Andrée Ruth Shammah, la quale evita il naturalismo, usando gli attori spogliandoli dalla “recitazione”. Cecchi torna a incarnare il gran teatro d’attore come si amava in passato e oggi sempre più raramente si vede…“
Anna Bandettini – La Repubblica

 

 

 



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